di Vittorio Sgarbi
Uno sguardo puro, ma non innocente, per una visione che sarebbe improprio definire naive, e che invece compone le immagini e i sogni dell’infanzia con le illustrazioni di un’Italia da libro di scuola, con i monumenti più rappresentativi, dal Castel del Monte alla Cattedrale di Trani.
E poi c’è la curiosità naturalistica per i fiori, le piante, i frutti, offerti alla nostra attenzione con disordine e selvatichezza.
Grazia Cucco è nata ad Amelia e ha resistito alla facile suggestione del misticismo Francescano con un’interpretazione non retorica, non favolosa, ma concreta, esatta, naturalistica, come di chi registra la verità del mondo contadino e conosce le piante e i frutti della terra, gli animali, restituendo verità ad un abusato cantico delle creature.
I suoi risultati più insoliti, già ben riconosciuti, l’intuizione della sua immediatezza e dalla sua autenticità, da Mogol, sono nella chiave onirica di un surrealismo non artificioso, non programmatico, ma legato agli incubi e alle scoperte dell’infanzia, in un mondo popolato di contadini e di suore, di animali e di insetti, dove le forme e le dimensioni sono arbitrarie e non corrispondenti alle misure convenzionali, così da consentirle una percezione del grande e del piccolo come quella di Gulliver, in una terra conosciuta e sorprendente.
Ciò che nelle invenzioni della Cucco sorprende, invece, è l’originalissima sintassi che, alterando la misura delle cose, crea situazioni imprevedibili e offre del mondo un’immagine nuova, complessa e originale che avrebbe deliziato Max Ernst e Dorothea Tanning, senza alcun artificio o costruzione.
Ciò che entra negli occhi ed esce dalla mente di Grazia Cucco è assolutamente originale e autentico, e presuppone una verginità dello sguardo che si incrocia con i turbamenti della psiche.
Un esempio di surrealismo spontaneo, non elaborato, necessario.