Intervista a Grazia Cucco, pittrice amerina contemporanea

Grazia Cucco, pittrice amerina contemporanea, prima di nove figli, è cresciuta a stretto contatto con la foresta Umbra, casa del suo cuore e delle sue emozioni. «Quando aveva tre anni all’asilo fu punta da un insetto. Si rifugiò sotto le sottane di una suora, la quale le chiese chi fosse l’autore della puntura, Grazia lo disegnò così precisamente che tutti riconobbero l’insetto», così parla di lei Giulio Rapetti Mogol, collezionista ed amico di oltre vent’anni dell’artista.

Secondo il critico d’arte Vittorio SgarbiGrazia racchiude nella sua chiave onirica un surrealismo non artificioso mai programmatico, legato agli incubi e alle scoperte di una bambina. In un mondo popolato di contadini, suore, insetti e animali, come la misura convenzionale non esiste e la percezione è quella di Gulliver in una terra conosciuta e sorprendente. Miniature dettagliatissime profane, mai ortodosse, tra natura e sogno.

Grazia Cucco è considerata dalla critica tra le più spontanee e sincere artiste di questo secolo, ha rappresentato la regione Umbria all’Expo di Milano 2015, affianco ad artisti quali Giotto, Tiziano, Veronese, Donatello e molti altri. I suoi quadri, creati nella terra che ama e dalla quale a fatica si sposta (anche per ricevere premi), viaggiano in tutto il continente Europeo, tra le tante collezioni private, esposizioni museali e mostre.

Incontro Grazia per ben 3 volte in un mese, ma la sua carica e il suo entusiasmo in compagnia, non permettono mai la pace e la concentrazione della quale necessita un’intervista. Pertanto, al terzo appuntamento finito in “festa”, ci diamo un appuntamento telefonico per la mattina seguente.
La telefonata inizia con Grazia che entra subito nel vivo del suo personaggio esclamando “Buongiorno a tutti da Capitone! Dove tutti cianno sempre raggione! …Perché devi sapè che qui tutti dicono che cianno sempre raggione…”

Bene, Capitone è… una frazione di Amelia?
“Di Narni, ma è praticamente ad Amelia. Vivo e dipingo qui da circa tre anni”.

A quando risale la prima pennellata di cui hai memoria?
“Ho memoria dei primi colori che risalgono non propriamente ad una pennellata, ma a tratti di pennarelli e pastelli che ho iniziato ad usare a soli tre anni”.

Hai compreso immediatamente che dipingere era il tuo destino, o vi è stato un momento particolare della tua vita che te lo ha fatto capire?
“Dipingo, disegno, da tutta la vita, è l’unica cosa che faccio sin dai tempi dell’asilo. Anche da piccolissima, ero tutto il giorno con una penna Bic – Gialla (che mi piaceva tanto) “sulle mani”, sempre-sempre-sempre. La noia mi portava a stare tutto il giorno a scarabocchiare, e tutti mi chiedevano dei disegni. I disegni erano spesso bozzetti di fantasia, ingranaggi particolari ricchi di sfumature. Talvolta appariva sui fogli la cronaca delle mie giornate, con tutte le mie emozioni. Continuamente. Sono sempre stata una completa autodidatta, nonostante nel corso della mia vita mi sia confrontata con altri artisti (che magari mi hanno dato dei consigli tecnici, come ad esempio l’uso di determinati pennelli piuttosto che altri). Ma la mia esperienza è completamente sul campo e mai accademica. Non è mai stato un hobby, ma un vero e proprio bisogno, diventato poi lavoro. Ad oggi lo considero un ibrido tra un bisogno e un lavoro, ed è l’unico lavoro che io abbia mai fatto, al di fuori dei primi anni della mia giovinezza dove parallelamente alla pittura mi occupavo di cavalli, passando con loro la quasi totalità delle mie giornate. Quando però rimasi incinta di mia figlia, mi fu sconsigliato di proseguire l’attività equestre e pertanto tornai a dipingere. Del resto, cosa potevo fare se non valorizzare il mio “dono”? Prima con restauri (in ville, chiese, edifici storici), ed infine stabilizzandomi come miniaturista, la mia passione e vocazione da sempre. Ho pertanto cominciato a dipingere miniature sempre su tavole di legno antico, antichissimo, perché solo qui sento il colore vero e vivo. Sulla tela no. Ho fatto anche delle tele, ma di quadri molto grandi (come ad esempio “La ricchezza del mondo” 3×2 metri per Expo 2015), ma perché le tavole non si prestano a grandi dimensioni, oltre che per il peso, rischiano di essere assemblate e quindi di viziarsi o storcersi nel tempo.

Quante tue opere possiedi?
“Possiedo sempre solo metà di una mia opera, e per qualche ora posso possederne una intera. Poi ne perdo il possesso. Sto parlando dell’opera “in corso”, che “transita” sul mio cavalletto pronta a partire una volta terminata. Nella mia casa non vi è altro della mia produzione artistica. Ringraziando il Cielo è stato sempre così, ed è veramente raro che un’opera scesa dal mio cavalletto sia rimasta per più di qualche ora nella mia casa”.

Sai che Picasso disse che era troppo povero per permettersi una sua opera. Condividi il suo pensiero?
“Il mio problema non è legato ai prezzi, ma alla mia incapacità di produrre molte opere in un dato periodo di tempo. Al di là del lavoro, che richiede molto tempo e concentrazione, non sono costante nella produzione. Ad esempio se soffro non riesco a dipingere, dopo una cena troppo goliardica ho fatica a dipingere anche la mattina dopo, senza contare gli impegni e le vicissitudini che mi tengono spesso impegnata oltremodo. Ma il vero nemico della mia produzione è la mia emotività, la stessa che mi fa creare in una condizione di benessere fisico e mentale, può essere un ostacolo in una condizione di malinconia o stress. Questo può bloccarmi per giorni e giorni”.

Nelle tue opere prevalgono principalmente due temi: natura e blasfemia. Puoi spiegarci?
“La natura è quella che più realizza il mio concetto di eternità. Vivere la natura porta alla comprensione della sua meraviglia. Sono cresciuta nei boschi, con 8 tra fratelli e sorelle, ma nella mia ignoranza ho capito tutto quello che sono e che so, grazie all’osservazione, e alla vita in simbiosi ed armonia con la stessa. Potrei dipingerla senza mai fermarmi, per me farlo è un po’ come accarezzarla, amarla. Ogni fogliolina, filo d’erba, insetto, scatena in me un amore senza misura. Mi da gioia e dolore, come se mi appartenesse, anche solo vedere un piccolo insetto senza una “zampetta” mi fa soffrire tantissimo, Per quanto concerne la blasfemia invece, la mia è una chiave ironica (e mai offensiva), di dissacrare e dissimulare lo strano fenomeno della natura secondo il quale si accoppiano tutti gli esseri viventi, persino le zanzare, ed invece gli unici a non farlo sono proprio i preti e le suore. Allora ho pensato li faccio accoppiare io…e in senso simpatico naturalmente, senza alcuna cattiveria, ma con l’unico scopo di superare con l’arte la realtà. Naturalmente spesso si tratta di allegorie, di suore o preti con sembianze di elementi della natura, o comunque con un evidente stile scevro da qualsiasi malizia, in pura satira, con lo scopo unico di creare allegria, di scaturire un sorriso. Se crea altro non è il messaggio che vorrei trasmettere”.

Qual è momento più alto della tua carriera artistica sino ad ora?
“Non vi è un momento, ma tanti momenti riconducibili sempre alla medesima situazione. Ogni volta che inauguro una mia mostra posso pregiarmi di avere al seguito gli Sbandieratori e tamburini di Amelia. Questo corteo, potente, è per me ogni volta la più grande emozione che nel contesto di una mia mostra ,mi fa letteralmente volare, volteggiare, urlare di gioia. Divento matta, non c’è emozione più grande per me nella mia carriera artistica che rivivere ogni volta questo rito ricco di altissima gioia”.

Qual è il consiglio che daresti ad un giovane artista?
“Nell’arte la cosa più importante non è la tecnica, ma la fantasia. Bisogna eliminare tutto ciò che blocca la fantasia, dai videogiochi alle tecnologie avverse, ma soprattutto i social network. Io non ho social network, vivere ciò che ci circonda, una giornata al mare, in campagna, o tra la gente a noi cara, sprigiona molta fantasia. La distrazione cerebrale che provocano certi strumenti tecnologici contemporanei invece, uccidono la fantasia. Le emozioni sono la linfa vitale dell’arte, e tutto ciò che spegne l’emozione, appiattisce, ed è avverso all’arte.
Questo naturalmente ha anche delle contrindicazioni, ovvero che la totale assenza di presenza sui social network mi crea difficoltà nelle relazioni e nella promozione della mia arte. Utilizzo molto una chat di messaggistica istantanea, che mi consente di scambiare messaggi e foto (ed è già troppo per me). Però in effetti nella promozione sono una frana. Nonostante ciò non ho mai avuto problemi nella vendita delle mie opere, o nella ricezione di Premi”
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A quale artista ti senti più vicina nella pittura?
“Sicuramente Hieronymus Bosch. E mi piace moltissimo Paolo Uccello (non certo per il suo cognome). Di Bosch ho visto forse solo due dipinti durante le scuole medie, e da allora non ho più voluto “frequentarlo” per non esserne troppo influenzata. Nonostante ciò, non ho potuto evitare che alcuni suoi dettagli mi entrassero inconsapevolmente dentro, tanto che critici e collezionisti ritrovano elementi dei suoi quadri inconsciamente latenti in me, che talvolta riescono fuori anche nelle mie opere più recenti a distanza di anni”.

Nelle tue opere, anche a dire di Mogol, i protagonisti di astratta ispirazione naturale talvolta sembrano degli extraterrestri. Credi ci sia vita nell’universo?
“La mantide religiosa, spesso protagonista delle mie opere (vestita da suora, essendo anch’essa a modo suo “religiosa” appunto), ha delle sembianze del tutto rassomiglianti all’immaginario collettivo della figura “aliena”. Il volto, gli occhi, la forma della testa, fanno pensare inevitabilmente a quello. A proposito di questo animale, vorrei raccontarvi di quanto abbia avuto modo di sperimentare la loro intelligenza. Ho avuto per anni mantidi religiose a casa, le ho allevate, addomesticate con carne macinata e latte, ne vanno ghiotte. Mentre camminavo per casa loro mi seguivano con la testa, hanno un intelligenza incredibile! Non sembrano più insetti, ma quasi dotati di un’intelligenza extraterrestre. Altro animale ricorrente nella mia opera è l’Empusa Pennata, simile alla mantide, dotata di un’austerità e un carattere fortissimi, che quasi lo trasmettono. Le adoro.
Se credo agli alieni? Si, e ne ho avuto prova. Due episodi in particolare, che vale la pena raccontare: agli inizi di Gennaio scorso ho ripreso un oggetto non identificato che si librava nel cielo, era mattina e stavo prendendo la legna per il mattino”
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“L’altro episodio risale a quando ero bambina, nel bosco con la mia famiglia. Mio padre aveva creato un grande capannone con le cannucce, ed io Matteo e Lia (due dei miei fratelli), eravamo lì con lui. Raccomandandosi di dire le preghiere e dormire, si assentava per qualche momento. Appena rimasti soli il cielo ha iniziato a tuonare con dei lampi luminosissimi, e a piovere a dirotto. La pioggia era così forte che i nostri letti scivolavano sul fango, e noi terrorizzati piangendo pregavamo recitando in coro il “Padre nostro” nella speranza di salvarci. Così, da soli, sotto la pioggia e spaventati. Ad un certo punto una luce molto simile ad una mezza luna si illumina nel cielo, e dalla stessa ne parte un’altra che illumina tutto il bosco tranne il nostro capanno. Questa luce interrompe la pioggia, che però riprende per poi smettere quando ricominciavamo a pregare e richiamar quella luce. Questo successe per 4-5 volte. Non abbiamo trovato altra spiegazione, sono certa a distanza di anni che si trattasse di qualcosa di sovrannaturale”.

Più che un racconto sugli extraterrestri, sembra un piccolo miracolo vissuto in diretta. Qual è il tuo rapporto con la fede?
“Beh le due cose non sono del tutto sconnesse l’una dall’altra. Del resto i sacerdoti dicono che gli extra-terrestri esistono ed altro non sono che i nostri fratelli di luce. Il mio Dio è il più grande artista del mondo, un Creatore che ci ha donato tutta la bellezza della natura che ci circonda. Per me esiste, eccome, e solo una potenza sovrannaturale può aver creato ciò che esiste nel naturale. Infine credo che chi crede in Dio viva meglio, e lo dicono le statistiche: la fede da speranza, Dio ci vieta di disperare. Pertanto aderire a Dio vuol dire aderire alla vita. Infatti non ci sono grandi percentuali di suicidi tra chi ha fede in Dio, ed anche le percentuali sulle malattie scendono molto quando si tratta di individui che credono in Dio”.

Come secondo te si può dar senso compiuto alla propria vita?
“Per me il senso più idoneo da dare alla vita sta nel consumarla allontanandosi più possibile da tutto ciò che sia morte, sofferenza e paura. Nell’assenza di queste tre parole vi è la valorizzazione della bellezza di tutti gli altri ingredienti vitali all’esistenza.

Credi ci sia qualcosa dopo la morte?
Partendo dal presupposto che a mio avviso la vita è troppo breve, di fatto 80 anni (in media) volano, ritengo sia un peccato passarli pensando alla morte. Detesto pensare alla morte. Certamente penso che con la morte il corpo muoia, ma l’anima sopravvive. La mia paura più grande è quella che l’anima non se ne vada del tutto da questa dimensione, ma rimanga qui relegata e costretta a vedere anche dopo la morte, lo sfacelo e le angherie del mondo, impotente però non dispondendo più del corpo.

Credi di aver lasciato un segno nella tua epoca, tale da garantirti l’eternità nella memoria dei posteri?
È una cosa alla quale non penso mai, e mai ci ho pensato. Vivo nell’attimo, non mi interessa se in futuro si parlerà di me, se sarò nei musei o sui libri di storia. Se succede bene, ma ho avuto e apprezzato la soddisfazione in vita, per i posteri non ho progetti né sogni. Vivo il qui e ora. Apprezzo gli artisti del passato, ma non penso a quelli del futuro”.

Qual è il momento in cui senti felice?
“Mi sento felice quando natura e relazioni umane (e uomo-animale) si uniscono. Il mio momento di felicità ideale è un banchetto in mezzo al bosco, con gli amici (d’estate). D’inverno adoro il tepore del camino e la compagnia unita al buon cibo. Sono questi i momenti che mi rendono davvero felice. Può sembrare una cosa semplice, ma è la linfa vitale per le mie creazioni. Senza questi momenti di equilibrio tra uomo, fauna e flora, non proverei le emozioni che mi sono necessarie alla creatività. Infatti se non sto bene non dipingo”.

Il tuo rapporto con gli animali, così presenti nella tua vita
“Ho sempre amato vedere gli animali come dei compagni di avventura, degli amici, e come con gli amici anche con loro ho fatto qualche pazzia. Una volta con un cavallo puro sangue, arabo, maschio, sono scesa da Nero Montoro sino alla stazione di Orte percorrendo tutta la superstrada, solo per andare a trovare dei miei amici, che avevano una stazione di servizio da quelle parti. Da giovane giravo per il paese con una capra, mentre da bambina usavo portare ogni giorno a scuola un animale che trovavo nel bosco. Ho avuto un ghiro che per due anni veniva a scuola con me e dormiva sulle mie spalle, e quando scendeva faceva un giro per poi tornare su di me. Gli animali mi sono stati amici, come lo sono stati gli uomini. Da sempre”.

Chiudiamo l’intervista con il tuo motto “Gente allegra Dio l’aiuta!!!”
“E’ la frase che mi ha seguita per tutta la vita. È una necessità di vita, l’essere allegri. Vivo questa allegria ogni giorno, con un solo buco nero nel cuore: la mancanza di rispetto per la natura, che ha portato nell’ultimo secolo alla creazione di un’isola di plastica nell’oceano grande come l’Italia. L’acqua trasparente che vedevo da piccola, il rispetto e l’armonia con la natura dei nostri nonni contadini, non è un valore di questo secolo. Pertanto vivo quest’allegria in maniera consapevole, nella piena coscienza che spesso non è scontata, con un pensiero ed uno sguardo mai cieco nei confronti di ciò per cui non vi è ragione di essere allegri”.

Francesco Cozza Caposavi / 20 Dicembre 2022

Il diavolo e l’acquasanta

di Marco Ticozzi

Grazia Cucco è bravissima.

Affermazione apodittica che par troppo semplice, ma davanti alla moltitudine di abilità, emozioni, ispirazioni e storie che animano Grazia,  questo sembra il giusto incipit e allo stesso tempo la conclusione di ogni viaggio che l’osservatore fa in ogni sua opera. 

E la moltitudine di Grazia vuol dire contraddizione, gioco, dramma, ironia, purezza e trasgressione.

Grazia potrebbe essere allo stesso tempo Puck nel “Sogno di una notte di mezza estate” e Shakespeare stesso quando trasforma gli uomini in animali, la regina delle fate della grande illustrazione inglese o, ancora, un dispettoso Kafka che al contrario tramuta gli insetti in umani, crudeli e addolorati, vittime e carnefici, devoti e dissacranti.

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Preciso non significa “vero”

di Elisa Eutizi

Preciso non significa vero

Le immagini marginali inducono sovente al sorriso, ma per fini di edificazione … Per ogni virtù e per ogni peccato c’è un esempio tratto dai bestiari, e gli animali si fanno esempio del mondo umano.

Umberto Eco

Da queste parole, pronunciate in uno sperduto convento benedettino che di lì a poco sarebbe divenuto teatro di misteriosi e poi tragici eventi, emerge una descrizione così precisa dei quadri di Grazia Cucco da pensare che Umberto Eco avesse visto le sue opere.

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La Ricchezza del Mondo

di Marta Rosati

La Ricchezza del Mondo
La ricchezza del mondo” di Grazia Cucco. Tela di 3×2 m.

L’opera è stata commissionata dal critico d’arte Vittorio Sgarbi e “battezzata” da Mogol in occasione della Milano Expo 2015.

Presentata durante l’esposizione universale avente lo slogan “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, la tela ha rappresentato la regione Umbria nel padiglione Eataly durante la mostra “Il tesoro d’Italia” al fianco di capolavori di artisti illustri quali GiottoTizianoVeroneseDonatello e molti altri.

«Massima grandezza, massima originalità, massimo talento». Sono le indicazioni pervenute dall’ufficio del professor Sgarbi ed ecco che nasce “La ricchezza del mondo”.
Questo il titolo scelto da Mogol, colui che l’ha scoperta nei primi anni ’90, per lo straordinario dipinto di Grazia Cucco, che rappresenta il padiglione Eataly all’Expo di Milano. Pittrice autodidatta, estrosa, brillante, con un cuore gigantesco e una frizzante autoironia.

Con questa tela 3×2 mt, l’artista umbra ha sfidato se stessa: da miniaturista, si cimenta in un lavoro “fuori portata” e riesce meravigliosamente nell’impresa in di tre mesi o poco più.
«Ho preso le misure della mia stanza di lavoro e calcolato la tela più grande che vi sarebbe potuta entrare – racconta Grazia -. Ho chiamato il falegname e mi sono fatta preparare una tela tre metri per due, ce l’ho avuta davanti per qualche giorno tenendo bene in mente il tema dell’esposizione “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, ma anche il sogno che avevo fatto qualche tempo prima: è da quello che sono partita. Nel sonno ho assistito alla straordinaria discesa di un pianeta dall’alto, mentre tutt’attorno c’era un fantastico cielo turchese lapislazzulo: un’esperienza onirica spettacolare».

Ingrandimento con focus sul Mondo
Dettaglio del Mondo al centro del dipinto.

L’ispirazione tratta dall’inconscio è stato il punto di partenza, ma poi è servito il genio della Cucco di cui parla Mogol per fare tutto il resto: «Prima di tutto ho riprodotto il colore di quel cielo apparsomi in sogno, poi ho riflettuto sull’energia e alla stessa ho accostato il Sole – di cui si percepisce la presenza pur nell’assenza -. L’acqua che scende in un cratere forma delle cascate simili a quelle del Niagara, risale in alto e, mentre viene verso di me, solleva il pianeta. Pianeta che è nutrito dal miele e quindi circondato di api, che trovano ampio spazio nel quadro mentre nella realtà sono in estinzione».

Nella splendida tela, in cui verrebbe voglia di tuffarsi, quattro grandi cavalli dominano la scena: «Nascono come i quattro elementi – spiega la geniale artista umbra – e su di loro quattro templari».
Ma i cavalli sono condotti da insetti: «Certo, solo le mantidi religiose a guidarli, così eleganti e signorili. Io le adoro – confessa Grazia – come amo tutti gli animali del mondo. Nella mia vita sono stati allo stesso modo fonte di gioia e di dolore, mi affeziono facilmente e quando vengono a mancare soffro maledettamente. Ho versato tante lacrime per loro».

I sentimenti dell’artista sono in qualche modo rappresentati nel quadro, dove compaiono tantissime creature viventi, ma manca l’uomo: «Noi siamo i distruttori del pianeta Terra e il quadro vuole gridare “il mondo è in pericolo!” e quei quattro templari, sul mantello, portano delle stelle marine rosse come delle croci del soccorso».

Quando incontriamo Grazia per la prima volta, ci pone davanti al quadro solo dopo aver messo una musica di sottofondo: «Un valore aggiunto. L’ho cercata tanto e alla fine ho trovato il brano che si sposa perfettamente con la carica delle immagini rappresentate: “King of lullaby” degli Eiffel 65. Quella musica fa muovere il quadro».

Vittorio Sgarbi a Grazia avrebbe detto: «Brava!».
A giudicare dalla personalità del critico d’arte, almeno quella che passa attraverso il piccolo schermo, non deve essere stato un complimento da poco: «Il professor Sgarbi – sottolinea più volte la Cucco – è una persona estremamente generosa e riconoscente».

Il surrealismo selvatico di Grazia Cucco

Il surrealismo selvatico di Grazia Cucco
“Super religiosità” di Grazia Cucco.

di Vittorio Sgarbi

Uno sguardo puro, ma non innocente, per una visione che sarebbe improprio definire naive, e che invece compone le immagini e i sogni dell’infanzia con le illustrazioni di un’Italia da libro di scuola, con i monumenti più rappresentativi, dal Castel del Monte alla Cattedrale di Trani.
E poi c’è la curiosità naturalistica per i fiori, le piante, i frutti, offerti alla nostra attenzione con disordine e selvatichezza.

Grazia Cucco è nata ad Amelia e ha resistito alla facile suggestione del misticismo Francescano con un’interpretazione non retorica, non favolosa, ma concreta, esatta, naturalistica, come di chi registra la verità del mondo contadino e conosce le piante e i frutti della terra, gli animali, restituendo verità ad un abusato cantico delle creature.

I suoi risultati più insoliti, già ben riconosciuti, l’intuizione della sua immediatezza e dalla sua autenticità, da Mogol, sono nella chiave onirica di un surrealismo non artificioso, non programmatico, ma legato agli incubi e alle scoperte dell’infanzia, in un mondo popolato di contadini e di suore, di animali e di insetti, dove le forme e le dimensioni sono arbitrarie e non corrispondenti alle misure convenzionali, così da consentirle una percezione del grande e del piccolo come quella di Gulliver, in una terra conosciuta e sorprendente.

Ciò che nelle invenzioni della Cucco sorprende, invece, è l’originalissima sintassi che, alterando la misura delle cose, crea situazioni imprevedibili e offre del mondo un’immagine nuova, complessa e originale che avrebbe deliziato Max Ernst e Dorothea Tanning, senza alcun artificio o costruzione.

Ciò che entra negli occhi ed esce dalla mente di Grazia Cucco è assolutamente originale e autentico, e presuppone una verginità dello sguardo che si incrocia con i turbamenti della psiche.

Un esempio di surrealismo spontaneo, non elaborato, necessario.